La lotta per lo spazio personale, la sicurezza e l’indipendenza
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- 02 luglio 2020
- kitwan
La lotta per lo spazio personale, la sicurezza e l’indipendenza
Nella famosa serie televisiva fantasy “Il Trono di Spade”, i personaggi combattono per diventare l’erede al Trono di spade, ovvero il seggio del re de Sette Regni.
In realtà, le persone in carrozzina si trovano a combattere una battaglia diversa: sicuramente non così violenta come quella della serie fantasy, eppure si tratta di una lotta che attanaglia gli individui in carrozzina da lungo tempo. Alcuni di loro, alla fine, hanno deciso di prendere la faccenda in mano, facendo avanzare la propria difesa delle carrozzine. Vi presentiamo qui la storia del loro “Game of Thorns” (letteralmente “Gioco di spine”).
Combattere il contatto e le spinte indesiderate
Due persone in carrozzina, una canadese e l’altra britannica, hanno vissuto diverse esperienze in cui venivano spinte da sconosciuti senza il proprio permesso. Così, hanno deciso di attaccare delle punte, o borchie modificate, ai manubri delle proprie carrozzine.
La canadese Bronwyn Berg ha installato delle maniglie a spuntoni costruite dal suo partner poiché veniva assalita dall’ansia non appena sentiva avvicinarsi dei passi. Una volta uno sconosciuto ha afferrato la carrozzina di Bronwyn e l’ha spinta velocemente per la strada, continuando indisturbato senza che nessuno venisse in soccorso di Bronwyn, nonostante le ripetute grida di aiuto. Ora si sente più sicura con le borchie installate sui manubri della sua carrozzina.
Sarah J. Waters dal Regno Unito ha avuto esperienze simili, che hanno addirittura portato a lesioni. Sarah ha la sindrome di ipermobilità, il che significa che le sue articolazioni possono slogarsi e rompersi facilmente. Ha avuto due incidenti sulla sua carrozzina: in entrambi degli sconosciuti l’hanno spinta senza il suo consenso. Una volta si è rotta le nocche, nell’altro caso invece il suo pollice si è aperto perché cercava di tenere con le mani le ruote della carrozzina per frenare la spinta inaspettata. Come Bronwyn, Sarah ha deciso di installare delle borchie per difendere il suo spazio personale e la sua sicurezza.
Una battaglia fondamentale per l’autonomia fisica
Le maniglie spinate hanno polarizzato le reazioni. Da un lato, le persone che le circondano sembrano essere diventate più consapevoli delle proprie azioni: così, Bronwyn e Sarah hanno notato molti meno abusi dopo aver installato questi accorgimenti. Dall’altro lato, alcune persone si offendono quando vedono le borchie sui manubri o le considerano frutto di paranoia.
Così come molte persone non disabili interpretano erroneamente la disabilità come un segno di debolezza e una richiesta di aiuto, essi fraintendono parimenti lo scopo delle punte sulle impugnature. Bronwyn ha chiarito che le maniglie non servono né per ferire le persone, né per impedire alle persone di chiedere ai disabili in carrozzina se hanno bisogno di aiuto. In realtà, ha detto che spesso la gente la ignorava quando chiedeva aiuto.
Al contrario, un aiuto non richiesto spesso finisce per provocare danni e infliggerle sofferenze tanto fisiche che psicologiche. Bronwyn spiega inoltre che
“I nostri ausili sono parte dei nostri corpi. Non siamo pezzi di mobilio che possono essere spostati a piacere.”
Ciò che per Bronwyn ha la maggiore importanza e che trova d’accordo tutte le persone in carrozzina, è che quest’ultima non debba mai essere toccata senza permesso. Proprio come farebbe qualunque individuo con o senza disabilità, bisogna sempre chiedere e aspettare la risposta prima di prendere l’iniziativa. A parte il rischio di infortunio, si tratta di un atto di rispetto fondamentale per l’autonomia fisica, che è un diritto di tutti.
I risultati dell’abilismo e della mancanza di consapevolezza
Stando a una ricerca condotta in Canada, le persone con una disabilità sensoriale o fisica corrono una possibilità due volte superiore di essere vittima di violenze rispetto alle persone non disabili. Un’altra ricerca del Regno Unito ha rivelato che più del 60% degli intervistati britannici hanno ammesso di sentirsi a disagio quando parlano con persone disabili. Risulta chiaro che per migliorare la situazione siano necessari maggiore comunicazione ed educazione riguardo alle disabilità.
La Dott.ssa Amy Kavanagh, un’attivista ipovedente, ha lanciato la campagna #JustAskDontGrab nel 2018 per sensibilizzare il pubblico agli approcci accettabili per aiutare le persone disabili. Come si può vedere nel video qui sotto, i passanti tendono a prendere il braccio della persona che vogliono aiutare senza prima chiedere il loro consenso. Molti non capiscono che il loro aiuto, sebbene con buone intenzioni, risulta in realtà essere molto intrusivo.
La campagna ha un’ampia risonanza anche con molte altre persone con disabilità, che hanno condiviso sui social media le loro esperienze di maltrattamento e i pregiudizi più comuni sulla disabilità con cui si sono scontrate. Ad esempio, gli ausili per la mobilità, come le carrozzine, provocano costantemente un sentimento di commiserazione. Le persone abili non si accorgono quasi mai dell’indipendenza e delle relazioni positive di cui le persone possono godere grazie ai loro ausili per la mobilità.
Come si sono evolute la cultura e l’etichetta della disabilità
Un altro approccio per educare le persone sulla disabilità arriva da Andrew Pulrang, uno scrittore freelance con disabilità cronica dagli Stati Uniti. In un articolo di Forbes ha discusso della cultura della disabilità di allora e di oggi e ha fornito una guida "reimmaginata" del galateo della disabilità.
Andrew ha sottolineato che le persone con disabilità al giorno d’oggi tendono ad accettare di più alcune idee e comportamenti man mano che la cultura della disabilità continua ad evolversi. Ad esempio, si può distinguere il cambiamento culturale dallo stile di linguaggio della disabilità tra le stesse persone disabili. Mentre la generazione più anziana con disabilità tende a preferire il linguaggio "persona prima di tutto" come "persona con disabilità", la generazione più giovane spesso preferisce il linguaggio "identità prima di tutto" come "persona disabile" o "sono disabile". Le considerano come dichiarazioni di orgoglio piuttosto che come etichette negative.
Ha anche rivelato che le persone con disabilità hanno generalmente imparato a convivere positivamente con la propria disabilità e ad affrontare l’ignoranza con l’informazione. Mentre tutte queste cose dovrebbero essere praticate come una scelta consapevole, molti tendono ad aspettarsi queste qualità ottimistiche dalle persone con disabilità.
Considerando quanto sopra e l’influenza dei social media, dove si stanno moltiplicando conversazioni più aperte sulla disabilità, Andrew ha proposto la seguente guida reimmaginata del galateo della disabilità:
- È concesso chiedere a una persona disabile informazioni sulla sua disabilità se la situazione lo impone.
- Offrire il proprio aiuto a una persona disabile è incoraggiato, ma non bisogna mai agire contro il desiderio di qualcuno. È necessario ascoltare e rispettare.
- Non cercare mai di dare lezioni ai disabili sul loro modo di pensare e parlare rispetto alla loro disabilità.
- Qualsiasi consiglio medico, emotivo o pratico non richiesto dovrebbe essere evitato.
- Sii responsabile di come gestisci le emozioni relative alla disabilità e la consapevolezza a essa legata.
- Non fare tentativi futili per difendere l’indifendibile. Chiedi scusa quando commetti un passo falso sul tema della disabilità e non soffermartici.
Che cosa ne pensate delle maniglie borchiate e del galateo reimmaginato sulla disabilità? Come prevenite e risolvete conflitti con le persone non disabili?