Trarre vantaggio dalle proprie diversità e contribuire a formare punti di vista differenti.
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- 09 agosto 2017
- claudia.zanini
Trarre vantaggio dalle proprie diversità e contribuire a formare punti di vista differenti.
La Svizzera è conosciuta per essere il paese del formaggio e del cioccolato, delle montagne e dei laghi, di Heidi e dell’orologeria. Un solo paese, un solo passaporto, una sola costituzione, quattro lingue ufficiali. Come si traduce ciò nella pratica? Sono nata nella parte italofona della Svizzera, vicino al confine con l’Italia. Sono cresciuta sentendomi svizzera, celebrando la festa nazionale, mangiando la treccia al burro la domenica a colazione, sentendomi orgogliosa della pulizia e dell’organizzazione del mio piccolo paese, bramando il formaggio Gruyère e il cioccolato. Ma sono anche cresciuta ascoltando lo Zecchino d’Oro, guardando programmi televisivi italiani e mangiando lasagne o polenta ai pranzi domenicali in famiglia. Nella mia vita, questo miscuglio svizzero-italiano rappresentava la normalità.
Quando mi sono trasferita in Romandia per i miei studi e in seguito nella Svizzera tedesca, ho capito che agli occhi dei miei compatrioti ero sì svizzera, ma in modo diverso. Avevo un tratto “esotico” perché molti dei miei punti di riferimento culturali, sociali e culinari erano italiani. Il mio inconfondibile accento italiano ha spesso portato a conversazioni sulle caratteristiche intrinseche all’”essere svizzero”. Le persone mi ponevano domande che non avevano per me alcun senso, come “ti senti più svizzera o italiana?”. Con il passare del tempo, tuttavia, ho imparato a trarre vantaggio da queste discussioni.
Prima di tutto, la mia diversità suscita curiosità e facilita il dialogo: ho sempre un argomento di conversazione con i miei compatrioti ;-) La curiosità può sconfinare nell’invadenza, ma il più delle volte si è trattato di un’opportunità per condividere le mie differenze, smantellare pregiudizi e forgiare la percezione che hanno delle persone provenienti dal Ticino. In secondo luogo, per essere ascoltata, ho dovuto lavorare sulle mie competenze comunicative. È qualcosa che va al di là del mero apprendimento di una nuova lingua. Si tratta di navigare tra regole e norme sociali diverse tra loro. In terzo luogo, venendo a contatto con le “maggioranze svizzere”, ho sviluppato una mente più aperta e un occhio più obiettivo sulla mia stessa visione del mondo. Osservarmi attraverso gli occhi degli altri mi ha aiutato a conoscere meglio me stessa.
Muovermi per la Svizzera mi ha mostrato la differenza tra il sentirsi svizzeri e l’essere percepiti come svizzeri. L’essere svizzero non è solo una questione di passaporto e di sensazioni personali, ma una questione di riconoscimento sociale: se non riesci a mettere in mostra ciò che gli altri percepiscono come specificità svizzere, ebbene non verrai considerato come tale! Ciò è applicabile anche a tutte quelle situazioni in cui si sente di appartenere a un gruppo ma non si è riconosciuti come membri dagli altri. Ad esempio, ogni volta che una persona con disabilità viene trattata da disabile, non si fa altro che inquadrare tale persona all’interno di uno stereotipo sulla base di un solo tratto distintivo, al posto che riconoscerla in primis per il suo essere cittadino, genitore, turista, atleta o professionista. Ogni volta che i mezzi d’informazione presentano un atleta paraolimpico come un eroe della vita quotidiana piuttosto che concentrarsi esclusivamente sulle sue prestazioni sportive, ogni volta che dubitiamo dell’abilità di una persona a eseguire un compito solo per via della carrozzina di fronte a noi, non riconosciamo tale persona per tutto ciò che è. Mettiamo in risalto solo una sua caratteristica, che con buona probabilità non è la più rilevante ai loro occhi.
Non possiamo certamente cambiare il fatto di essere ticinesi o di essere in carrozzina, ma possiamo cambiare il modo in cui gli altri ci vedono, ad esempio facendo loro scoprire che il Ticino è più che la mera “Sonnenstube” (veranda al sole) della Svizzera e che i ticinesi sono molto più che semplicemente socievoli o loquaci. Se non possiamo cambiare ciò che le persone vedono per primo in noi, possiamo almeno cambiare le loro attitudini e le loro opinioni su di noi. Ciò generalmente non accade dall’oggi al domani, ma è così che, storicamente, le singole vite così come i destini collettivi sono stati cambiati. È così che le donne hanno conquistato il diritto di voto e le persone con disabilità il riconoscimento dei diritti umani. La comunicazione rappresenta la chiave per incoraggiare le persone a pensare fuori dagli schemi e a plasmare nuove filosofie di vita, capaci di cambiare il mondo.
[traduzione del post originale in inglese]